C’è qualcosa di profondamente ingiusto in una legge che considera “stranieri” ragazzi nati e cresciuti in Italia, che parlano il nostro dialetto, tifano per la nostra squadra del cuore e studiano la Divina Commedia come i loro compagni. Persone che, a tutti gli effetti, sono già italiane – tranne che su un pezzo di carta.
Il referendum per la riforma della cittadinanza non è una questione astratta: riguarda migliaia di storie concrete. Come quella di Fatima, nata a Milano e costretta a chiedere un permesso di soggiorno per partecipare a una gita scolastica all’estero. O come Marco, cresciuto a Roma ma ancora in attesa a 22 anni di veder riconosciuto il suo diritto a votare.
Perché la legge attuale non funziona
L’attuale normativa, scritta nel 1992, non tiene conto di un’Italia cambiata. Pretende che siano i bambini a “diventare italiani”, dopo aver superato un percorso a ostacoli burocratici, invece di riconoscere ciò che già sono: parte integrante di questa società. È una logica che crea cittadini di serie B, alimenta frustrazione e spreca talenti.
Cosa si propone
Non si tratta di regalare nulla, ma di riconoscere ciò che esiste già:
- Chi frequenta la scuola italiana per almeno cinque anni dovrebbe avere diritto alla cittadinanza (ius scholae).
- Chi nasce qui o arriva da piccolo, e costruisce la sua vita nel nostro Paese, non dovrebbe aspettare la maggiore età per sentirsi a casa.
Un gesto semplice, un cambiamento epocale
Firmare questo referendum significa restituire dignità a un pezzo d’Italia che oggi vive in ombra. Significa dire che essere italiani non dipende dal sangue, ma dall’appartenenza a una comunità.
La strada è lunga, ma ogni firma è un passo avanti. Perché le grandi riforme iniziano sempre dal basso: dalla scuola, dai quartieri, dalla convinzione che un Paese più giusto sia possibile.
Firma ora e condividi questa battaglia: referendumcittadinanza.it